Ristrutturazione di un locale ad uso commerciale aperto al pubblico non soggetto a collocamento obbligatorio
Domanda:
La ristrutturazione di un locale ad uso commerciale aperto al pubblico non soggetto a collocamento obbligatorio comporta la verifica del requisito di visitabilità: é corretto?
Caso in esame:
Il locale commerciale è rialzato rispetto al piano strada (3 gradini) e l’UT comunale non permette la realizzazione di rampa (anche su suolo privato!!!) perché edificio in centro storico.
Si è pensato di introdurre un servo scala: il servo scala può essere solo predisposto (ed installato prima dell’inizio attività) o deve risultare installato già a fine lavori indipendentemente dal fatto che il locale sia utilizzato?
Nel caso di uffici privati (tipo uno studio tecnico professionale) aventi tipologia di luoghi di lavoro non aperti al pubblico e non soggetti a collocamento obbligatorio è sufficiente che sia verificato il requisito di adattabilità?
Le porte interne da 90 cm (solitamente presenti nei wc) quando vanno previste?
Risposta:
Il requisito di visitabilità va soddisfatto per tutti gli spazi privati aperti al pubblico e in generale prevede che l’unità sia raggiungibile, vi si possa entrare agevolmente e siano accessibili gli spazi ove il cittadino viene a contatto con la funzione ivi svolta. L’accessibilità deve essere garantita anche per i servizi igienici se la superficie netta (slp) è maggiore di 250 mq. A seconda della destinazione d’uso dello spazio privato aperto al pubblico vengono dettate misure più specifiche e più stringenti di quelle prima richiamate (si veda d.m. 236/89 artt. 3.3 e 3.4). In ogni caso va sempre prodotto il progetto per l’adattabilità.
Il requisito di visitabilità (così come quello di accessibilità) deve essere dimostrato non solo nel progetto, ma – e così si arriva alla risposta sul caso specifico – deve essere verificabile al momento della richiesta dell’agibilità o abitabilità e dunque la previsione di servoscala, la dotazione di maniglioni nei servizi igienici, etc non può essere differita nel tempo (altrimenti si ricadrebbe nell’adattabilità).
La questione più difficile da inquadrare è la definizione di edificio privato aperto al pubblico in relazione ai requisiti a cui deve essere assoggettato in materia di eliminazione delle barriere architettoniche. La nozione di edifici e spazi privati aperti al pubblico comprende tutti quegli ambienti spazi o edifici privati dove si svolga un'attività professionalmente organizzata a scopo di lucro, diretta allo scambio ed alla produzione di servizi, quali, ad esempio, teatri, cinematografi, club privati, alberghi, ristoranti, centri commerciali, negozi, bar, ambulatori, studi professionali ed altri. Secondo la Corte Costituzionale (9 aprile 1970 n 56) un locale deve considerarsi pubblico quando si accerti che in esso si svolge attività professionalmente organizzata a scopo di lucro diretta allo scambio e/o alla produzione di beni e servizi. La Cassazione ha attribuito il carattere pubblico ai locali che prevedano il pagamento di un biglietto d'ingresso, il rilascio di tessere d'ingresso o di tessere associative, a quelli che pubblicizzino la propria attività o che abbiano una struttura tale da rendere evidente lo svolgimento di un'attività imprenditoriale: nonché a quelli che consentano l'ingresso ad un rilevante numero di persone.
L’art. 5 della L.R. Lombardia 6/1989 al comma 2 lett. c) parla di “edifici e locali destinati ad attività produttive di carattere industriale, agricolo, artigianale, nonché ad attività commerciali e del settore terziario”, che seppur nella sua genericità sembra indicare che anche gli studi professionali debbano garantire il requisito della visitabilità.
Le indicazioni normative rimangono tuttavia molto interpretabili e negli ultimi anni la giurisprudenza (anche in considerazione di altre leggi nel frattempo uscite come la L. 67/2006) si è più volte occupata della questione. La linea che ne esce è quella che indica l’obbligatorietà della visitabilità per quegli studi professionali le cui prestazioni non possono prescindere dalla presenza della persona nei locali dello stesso (ambulatori dentistici – per i quali peraltro l’ASL pretende da qualche anno la dimostrazione della visitabilità comprensiva di servizio igienico accessibile –, ambulatori medici o paramedici in cui si effettuano trattamenti sulla persona, studi di estetisti, etc...).
In riferimento alla larghezza delle porte, la L.R. Lombardia 6/1989 impone una larghezza netta minima di 80 cm che diventa di 90 cm per la porta d’ingresso all’unità immobiliare (per il d.m. 236/89 sono rispettivamente 75 cm e 80 cm). E’ da considerare che un battente da 90 cm è più ‘scomodo’ nell’utilizzo da parte di una persona in carrozzina, per cui è ‘ingiustificato’ – anche se permesso – come porta d’accesso nei servizi igienici.